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IL PARCO SOTTO VETRO

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In vita mia, mi è capitato di viaggiare molto ed in molti paesi, prima al seguito dei miei genitori e poi da sola per studio o per lavoro.
La settimana scorsa sono stata a New York e questo viaggio mi ha fatto riflettere su una mia attitudine o deviazione (a voi la scelta).
Quando viaggiamo, si sa, facciamo incontri ed esperienze nuove ed entusiasmanti, ma soprattutto (e qui la mia attitudine/deviazione) si fanno “adozioni”.
In quasi tutti i posti in cui sono stata, ho fatto mia un’abitudine locale o un modo di fare. Mi spiego meglio. Sono stata ad Istanbul 4 volte (e spero di visitarla di nuovo perché sento che è la città a me più affine) ed ho adottato il loro modo di prendere il tè; in Inghilterra ho imparato a non usare più l’ombrello (a meno che non si tratti di una bomba d’acqua), dalla Francia ho adottato l’uso della vinaigrette per l’insalata ecc… Ci sono poi abitudini che però non puoi portare a casa con te, ma che senti tue e che ogni volta che torni nel paese di adozione, le applichi con naturalezza, come se avessi vissuto lì da sempre.
Come vi accennavo all’inizio, dunque, sono stata a New York per lavoro (per una fiera di gioielleria, per l’esattezza) ed ho colto l’occasione anche per dedicare un paio di giorni al puro piacere di rivedere la Grande Mela. Non capita spesso di essere a NYC. Avevo visitato questa meravigliosa città quando avevo 15 anni ed era una città completamente diversa da quella che è adesso.
Su New York è stato scritto di tutto di più e in questo post non vi dirò quanto sia bella e fantastica, sapete già che lo è. Quindi continuiamo a parlare delle mie stranezze.
Allora cosa mi sarei portata a casa da NY?
La prima mattina di puro svago, io è mio fratello siamo andati ad un Starbucks dietro al nostro albergo, che purtroppo non aveva tavoli a cui sedersi per fare colazione. Uscendo con il bicchiere del mega cappuccino in una mano ed il sacchetto del dolce nell’altra mi sono sentita molto newyorkese, e, approfittando della fine della fiera, ho deciso che mi sarei gustata quella colazione con più calma.
Accanto allo Starbucks, in uno spazio tutto vetri che dava sulla strada, ho notato una serie di piccoli tavolini verdi nello stesso stile del BRYANT PARK. Ho guardato l’adesivo indicativo sul vetro e ho capito. L’entrata era quella di una banca, ma attraverso quella si accedeva ad un giardino d’inverno pubblico. L’America Tower One Bryant Park Bank.

L’immaginazione ha iniziato a volare ed ho immaginato lo stesso spazio in inverno e la meravigliosa sensazione che si deve provare ad entrare per ripararsi dal freddo tagliente di una città che si affaccia sull’Atlantico e concedersi anche solo 5 minuti (il tempo di bere un cappuccino) di pausa al tram tram velocizzato della metropoli.

La sorpresa più grande però l’ho avuta quando, sfrecciando su un taxi lungo la Madison Ave, in direzione del ristorante che avrebbe ospitato gli espositori del workshop, ho notato che alla base di un altro grattacelo c’era un altro spazio pubblico come quello già visitato da me e mio fratello.

Che bello sarebbe se la città ne ospitasse tanti altri. Piccoli angoli free (usare l’aggettivo “piccolo” parlando di una città come NY ovviamente è sbagliato) dove fermarsi per pochi minuti prima di immergersi di nuovo nel caos, sia che tu ci viva, sia che tu sia in visita. Ogni cappuccino, caffè, tè, lo berrei lì, a guardare con distacco la gente che passa e si affanna, mentre io, come uno spettatore, mi concedo i miei meritatissimi 5 minuti.

Ecco cosa adotterei, l’abitudine di fermarmi nel parco sotto vetro.

Ripensando al momento in cui sono stata lì seduta a sorseggiare il cappuccino formato famiglia, ricordo i sentimenti che ho provato. È strano, nel momento in cui mi isolo dalla città in cui mi trovo, provo una sensazione di appartenenza ad essa. Sentimenti contrastanti che fanno vacillare la certezza di chi sono e che mi fanno capire che se potessi, viaggerei e andrei ovunque e per sempre. Viaggiare, conoscere, sentire culture e modi di vivere sulla pelle, tanto da fare tua ogni singola abitudine di un popolo e quindi comprenderlo e rispettarlo.

Lucia

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0 pensieri su “IL PARCO SOTTO VETRO

    1. Ciao, si, forse è vero quello che dici, però a New York è difficile trovare qualcosa di ‘naturale’. Non so tu, ma io vivo in una cittadina circondata da grandi spazi verdi dove la natura è quella vera. Per me già il ”parco” (nella sua definizione come spazio verde in mezzo ai palazzi di una città) è una cosa artificiale, costruita per le esigenze di chi vive in mezzo al cemento. Però NY è NY!!! Grazie Lucia